L'essenza della
meditazione
Il Tantra si può definire anche una «meditazione
sul piacere », cioè una meditazione che prende
come oggetto della consapevolezza l'energia delpiacere,
così come altri tipi di meditazione prendono come
loro oggetto il respiro, i pensieri, le sensazioni corporee
o altri processi interiori. E certamente uno scopo della
pratica tantrica è l'aumento del piacere e la scoperta
di forme più profonde di unione sessuale. Ma la meditazione
tantrica non si limita certo a ciò. Tantra, in sanscrito,
significa «strumento per allargare la coscienza».
Questo processo di allargamento avviene nell'unione tra
Shiva e Shakti, tra consapevolezza e energia, tra meditazione
e piacere, tra il 7° chakra, che è in cima alla
testa e il 1° chakra, che è il centro sessuale.
Questa unione è particolarmente importante per chi
come noi appartiene a una cultura in cui spiritualità
e sesso non sono mai stati in armonia l'una con l'altro:
per poter cominciare a meditare davvero, chi è abituato
a pensare in questi termini conflittuali deve innanzi tutto
far pace col proprio corpo, ritrovare il piacere nella sessualità
e collegarlo di nuovo con il cuore; solo allora potrà
iniziare a meditare, altrimenti i desideri non vissuti lo
assedieranno nella meditazione, togliendogli ogni serenità
d'animo.
Cos'è la meditazione? Nel mondo della new age, ormai,
tutto viene chiamato meditazione. Alcuni confondono la meditazione
con il rilassamento, altri con la concentrazione, altri
con il distacco dalle cose del mondo, altri ritengono che
sia uno speciale equilibrio da raggiungere nella propria
mente.
Tutto ciò è certamente utile a meditare, ma
non è ancora meditazione. Quando a un famoso maestro
zen venne chiesto quali fossero gli i,ngredienti della meditazione,
egli rispose:
«Sono tre. Il primo è la consapevolezza. Il
secondo è la consapevolezza. Il terzo è la
consapevolezza». Consapevolezza significa essere coscienti
e attenti: possiamo essere consapevoli delle sensazioni
nel corpo, dei pensieri, delle emozioni, di uno stato d'animo,
del respiro ecc. Normalmente noi ci identifichiamocon i
nostri pensieri e con le emozioni ecc., ma non ne siamo
consapevoli: ci limitiamo a essere i nostri pensieri e le
nostre emozioni.
Appena iniziamo a osservare questi fenomeni interiori, cessiamo
di identificarci con essi e siamo in un altro luogo, ancor
più addentro. Ciò che conta nella meditazione
non è l'esser rilassati, o centrati, o concentrati;
questi sono stati mentali che ci aiutano a entrare in meditazione,
ma sono soltanto stati mentali: la meditazione ci porta
oltre tutti gli stati d'animo, oltre i pensieri, oltre le
sensazioni corporee, oltre il piacere. Il che non significa
certo che diventiamo completamente assenti o inerti o disinteressati
alla vita. Nella meditazione «io ho dei pensieri,
ma non sono i pensieri, provo un sentimento ma non sono
il sentimento, sento una sensazione nel corpo ma non sono
la sensazione». Non sono più identificato con
i pensieri ma con colui che osserva i pensieri, le emozioni,
le sensazioni ecc. E colui che osserva questi fenomeni che
avvengono dentro di me è una modalità e un
centro dell'attenzione che ben difficilmente si può
descrivere a parole, perché non è associato
con nessuna delle componenti della mente ordinaria. Il koan
«chi sono io?» è una domanda che non
conduce a una risposta logica, riassumibile in una frase:
l'unica risposta autentica a essa, è bensì
l'esperienza di non essere più identificato con l'io.
Ed è un'esperienza sconvolgente, che può mutare
l,amente umana più profondamente d'ogni altra cosa.
Per ciò Osho definisce la meditazione «la più
grande avventura che la mente umana possa affrontare. Meditazione
significa semplicemente essere, non fare niente: nessuna
azione, nessun pensiero, nessun sentimento. Il semplice
esistere diventa una grande gioia. Da dove viene questa
gioia, se non fai niente? Da nessuna parte, e da ogni luogo.
Essa non è la causa, perché l'esistenza stessa
è intessuta di ciò che si chiama gioia».
Quando mediti sei pienamente in contatto con il tuo nucleo,
con la tua essenza, sei arrivato a casa. Conosci quei bei
momenti in cui ti rilassi in una posizione comoda, lo stress
superficiale ti scivola via, e i pensieri diventano sempre
più radi? Alcuni pensano che la meditazione sia un
livello un poco più profondo di questo rilassamento.
Ma non è esattamente così, la strada verso
il nostro nucleo interiore non è così semplice
e lineare.
All'inizio di questo libro abbiamo visto che, quando aumentiamo
il piacere, svegliamo anche i mostri. Con la meditazione
avviene la stessa cosa: fino a un certo punto ci sentiamo
più pacifici, più rilassati, più armonici,
più presenti in noi stessi. Ma poi si svegliano i
mostri, e se continuiamo a meditare, essi si fanno sentire
in modo ancor più chiaro, più intenso e spiacevole:
la schiena comincia a dolere, i pensieri vorticano, le voci
infernali diventano più forti, riemergono i ricordi
di tutto ciò che è andato male nella nostra
vita. Rimanere consapevole in questo putiferio interiore
diventa una vera tortura. Personalmente, non ho mai sofferto
così tanto come in alcune esperienze di meditazione.
E perciò molti smettono presto di praticare la meditazione,
e si dicono: andrà bene per gli yogi indiani e per
i lama tibetani,ma non fa per me.
Invece quel momento tumultuoso è solo il punto giusto
per fare una pausa, per accogliere e comprendere tutto ciò
che viene emergendo dalle tenebre del nostro essere, per
poi riprendere a meditare.
Nella meditazione non ha importanza se ci sentiamo bene
o male, ma se siamo attenti e desti o meno. Quando siamo
consapevoli di quello che sta avvenendo, siamo semplicemente
nel presente. Quando emerge un pensiero del nostro passato
o un nostro pensiero corre verso il futuro e noi ne diveniamo
consapevoli,questa consapevolezza ci riporta anch'essa ancor
sempre nel presente, perché è nel presente
che osserviamo quel pensiero e non ci lasciamo trascinare
dal contenuto di quei pensieri, verso il passato o il futuro.
Come dice il Dalai Lama:« Nella meditazione non devi
permettere alla coscienzadi seguire i sentieri del passato
o di fare programmi per il futuro: bisogna creare un vuoto,
al posto di tutti questi processi mentali. Quando la coscienza
è liberata e sgombrata da tutti i processi mentali,
essa rimane in uno stato puro, chiaro, indistinto e silenzioso»
Sogyal Rimpoche ci indica dove possiamo cogliere questo
stato puro della mente: «Quando un pensiero del passato
cessa, e il pensiero del futuro non è ancora nato,
si crea un vuoto e in questo vuoto c'è la consapevolezza
del momento presente, fresco, innocente, privo di qualsiasi
concetto, non influenzato da nulla: un nudo e luminoso accorgersi.Questa
è meditazione».
In questo momento sai chi sei, lo sai senza alcun dubbio
perché sei entrato realmente in contatto con te stesso.
La via maestra per arrivare al tuo nucleo interiore è
quella di un'attenta osservazione. Non ti identifichi con
i fenomeni che avvengono nella tua mente, ma li osservi.
Questo principio vale per tutte le meditazioni, indipendentemente
dalle tecniche che esse adottano.
Di solito siamo molto attaccati ai nostri pensieri, alle
nostre emozioni, al corpo, li consideriamo nostri. E siamo
attaccati sia ai pensieri e ai sentimenti che ci fanno star
bene, sia anche ai nostri problemi - e guai a chi ce li
vuole togliere!
Fai questo semplice test: scegli tra i tuoi conoscenti una
persona che si disprezza, che pensa che il destino le abbia
assegnato problemi molto più grossi di quelli toccati
agli altri, una persona che non si ama, che si critica costantemente
e che pensa che dovrebbe cambiare completamente per essere
felice. Rifletti su questa persona: su ciò che apprezzi
in lei (trova almeno cinque ragioni per cui puoi nutrire
stima verso di lei) e la prossima volta che la incontri
dille che la trovi carina, saggia, bella, coraggiosa o quant'altro...
E sta' a vedere cosa succede. Aspettati reazioni brusche,
insulti, perché penserà certo che tu ti stia
divertendo a spese sue. Probabilmente perderai la sua amicizia,
e non è escluso che cominci a odiarti.
Staccarsi dall'immagine di sé è un momento
chiave nelle meditazioni buddiste. Ed è stato una
gran fonte di eqùivoci: si è pensato che significasse
allontanarsi dalla vita concreta, non avere più emozioni
o pensieri, vivere in un completo distacco e osservare tutto
dal di fuori, come uno che si interessa di nulla, o addirittura
d'una specie di dissociazione (come si chiama in psicologia),
quella condizione cioè in cui osservo me stesso come
se mi vedessi in uno schermo televisivo.
Queste forme di distacco possono essere utili per affilare
le nostre capacità di percezione e di osservazione,
ma non sono meditazione. Nella meditazione io osservo i
movimenti nella mia mente e nel mio corpo e partecipo alla
danza della vita. Non mi osservo dal di fuori, ma dal di
dentro. Danzo la mia danza e osservo i miei movimenti mentre
seguo con tutto me stesso i ritmi della musica. Lascio al
corpo e alla mente piena libertà di muoversi e sono
identificato col mio nucleo più
profondo, con questo luogo in me che si chiama la pura coscienza.
L'atto di dis-identificarci dai contenuti della mente richiede
una radicale trasformazione delle nostre opinioni in merito
a essi: le «ètichette» - tutti i giudizi,
le definizioni, le categorie le convinzioni - che normalmente
appiccichiamo ai nostri processi mentali.
Facciamo un esempio concreto: il mio partner entra in casa
e io lo vedo entrare. Fin qui è tutto normale. È
un'immagine semplice. Ma qual è il mio primo pensiero
in quel momento? Non appena quell'immagine entra nella nostra
mente, si innesca tutta una serie di processi: subito provo
qualche sentimento, la gioia di rivederlo, un senso di sorpresa,
perché non lo aspettavo... E a questo sentimento
si associa un pensiero. Se per esempio ho provato gioia
nel rivederlo, potrei pensare: non gli mostrerò tutta
la mia gioia, perché altrimenti potrebbe pensare
che sono molto dipendente da lui. Proprio ieri mi ha detto
di nuovo di non essere così appiccicosa... Oppure:
ora lo abbraccio e gli mostro tutta la mia gioia, e la esagero
addirittura un 'po' per fargli dimenticare quel brutto episodio
dell'altro giorno.
È così che noi diamo subito un'etichetta alle
cose. Questo è bene, questo è male, se ora
faccio questo succede quest'altro, ecc. Tutte queste etichette
portano l'impronta del nostro carattere e delle nostre voci
interiori.
L'aver visto entrare il partner non ha creato in noi un
sentimento neutrale, che possiamo accoglieredicendo a noi
stessi «sì, ecco ciò che provo per lui»
ma ha prodotto in più un giudizio, un'interpretazione
del sentimento: dovrei non provare questo sentimento, dovrei
provare un altro sentimento, o dovrei provarlo in modo diverso
ecc. e non è finita lì: vien sempre ad aggiungersi
un altro pensiero, che interpreta o critica il giudizio
iniziale: «ma perché penso sempre così.
In fondo non è vero»...e poi vengono ad aggiungersi
altri pensieri ancora, che interpretano quell'interpretazione...
E ai pensieri si aggiungono immagini di situazioni passate,
e immagini di situazioni che speri che avvengano, o che
temi che avvengano. Così passiamo il tempo, parlando
con noi stessi. Di solito questa concatenazione di processi
mentali avviene molto velocemente e non ne siamo consapevoli,
non ne vediamo i singoli elementi, da quel luogo silenzioso
che è nel centro di noi, ma siamo trascinati dalla
catena di pensierì-emozioni-sensazioni-pensieri-immagini-
pensieri... e ne usciamo; come da una trance, quando una
di quelle catene associative si esaurisce o quando qualche
nuovo avvenimento esterno ci distoglie.
Lo scopo della meditazione è appunto non entrare
in questa specie di lunga telefonata con noi stessi, in
questo film interiore, in questo flusso di emozioni - e,
se ci entriamo durante la meditazione, di accorgercene subito
e di destarci da essi per tornare nel vero centro di noi
stessi: a percepire da lì le cose per quello che
sono e non per quello che pensiamo che siano o che pensiamo
dovrebbero essere.
In quest' esempio ciò significherebbe percepire la
gioia alla vista del partner per quello che essa semplicemente
è, cioè gioia, sgombrandola da tutti quei
concetti che ci siamo fatti sulla gioia e sul rapporto con
il nostro partner. Per percepirla così pura occorre
«dis-etichettare» l'esperienza in 5 passi:
1) Permetti a quella gioia di manifestarsi in te, conceditela.
2) Nota in quale parte del corpo la percepisci.
3) Distogli l'attenzione dalla causa della gioia.
4) Sgombra la gioia da successivi pensieri e idee.
5) Percepiscila come energia in te e osservala come tale.
La stessa cosa si può fare con la collera, con il
rancore, con il piacere sessuale, con l'orgasmo.
Questo è meditazione:
percepire e osservare qualsiasi impulso, sentimento, pensiero
o avvenimento nel tuo corpo-mente, spezzare quella catena
di etichette e reazioni non appena ti accorgi che si sta
formando, e rimanere con ciò che c'era prima di essa.
Buddha Shakyamuni, che illustrò per primo questo
processo in termini così chiari, lo chiamò
«spezzare la ruota della sofferenza», intendendo
per sofferenza la prigione nell'io.
E Tilopa, uno dei grandi maestri tantrici del passato, nel
suo canto del Mahamudra dice «Quando osservi la tua
mente attraverso la tua mente, spariscono tutte le distinzioni
e raggiungi l'illuminazione».
Per questo motivo tutte le tecniche di meditazione attribuiscono
una grande importanza al corpo e al respiro, perché
la percezione del corpo o del respiro è reale, è
concreta, è fresca, è innocente, contiene
energia. Quando scopri che la pura coscienza non è
qualcosa di diverso da te, non è qualcosa che ti
devi creare, o che devi produrre mediante posizioni del
corpo, o visualizzazioni, o ripetizioni di frasi, e che
l'esperienza di essere veramente te stesso ti appartiene
e che in fondo hai sempre portato in te la tua vera essenza,
il tuo rapporto con te stesso si modifica radicalmente.
Trovi in te una guida interiore di cui ti puoi fidare in
senso assoluto, un luogo in te che è al riparo da
qualsiasi avvenimento esteriore, un'istanza che non si lascia
condizionare neppure dalla tua storia personale. Questa
scoperta ti dà una grande sicurezza e cambia anche
tutto il rapporto con i tuoi maestri spirituali, che non
sono più dei «guru» o delle persone superiori,
ma persone come te che hanno semplicemente più esperienza
nell'accedere al nucleo del proprio essere e che ti possono
insegnare la strada che loro stessi ripercorrono ogni volta
che si connettono con il loro vero sé.
Articolo tratto dal libro "Tantra - La via dell'estasi
sessuale - Elmar e Michaela Zadra"
www.maithuna.it