La Storia del
Tantra
Tantra, in sanscrito, significa «tecnica per ampliare
la coscienza ». Il Tantra «non è né
una religione nel senso tradizionale del termine, né
una filosofia, né una via mistica basata su concetti
metafisici, bensì uno strumento empirico per chi
è alla ricerca di qualcosa; è una tecnica
che si basa sull'esperienza, nell'ambito della vita concreta.
L'ampliamento della consapevolezza inteso in questo modo,
include tutti gli aspetti della nostra vita, e appunto in
quest'ambito il Tantra è l'unica disciplina nella
quale si operi una sintesi tra le dimensioni, apparentemente
opposte, del diletto e della liberazione.
Proprio i nostri desideri edonistici, basati sul principio
della semplice e immediata soddisfazione, formano nel Tantra
la dinamica nella quale si allarga la consapevolezza, fino
a giungere all'esperienza mistica - ed è così
che le pratiche sessuali diventano un veicolo per il progresso
spirituale. Come si legge nel Guhyasamaja Tantra nessuno
riesce a ottenere la liberazione se si impegna in pratiche
difficili e tormentose; la liberazione può essere
raggiuhta soltanto attraverso l'appagamento consapevole
di tutti i desideri).
Oltre a creare un ponte tra sessuaIità e spirito,
il Tantra congiunge due direzioni della ricerca spirituale
che in altre scuole vengono tenute distinte: controllo ed
estasi. Nello yoga, per esempio, viene accentuato maggiormente
il controllo di sé, l'autodisciplina, il rinsaldarsi
dell'io, il meditar se stessi dinanzi al divino; fra i mistici
cristiani, al contrario, conta di più l'abbandono
al divino, l'attesa paziente della sua grazia e l'annientamento
dell'io.
Nel Tantra, il divino e l'io rimangono ciascuno al suo posto,
e l'oggetto della ricerca è principalmente quella
vibrazione della coscienza che fa incontrare questi poli
opposti dell'esperienza soggettiva, lungo due strade, quella
attiva e quella ricettiva, che vengono praticate entrambe
dai tantristi.
Le origini del Tantra risalgono al 2000a.c. circa, quando
gli Harappei popolarono la valle degli Indù. Questa
popolazione godeva d'un notevole benessere, e mostrava uno
spiccato amore per le arti. La società degli Harappei
era di tipo matriarcale. La principale preoccupazione degli
Harappei era di vivere nel benessere, e ogni loro abitazione
era dotata di almeno un bagno. A questo proposito, è
utile ricordare che anche nella piazza della capitale, Mohenjo-Daro,
l'edificio dominante non era una torre o un tempio, bensì
una grande piscina un vero monumento al benessere. Nelle
culture matriarcali la donna occupa un posto d'onore, tanto
nella vita profana come nella religione - che è incentrata
sulla Dea madre. La figura femminile domina i santuari.
Braccia aperte, gambe divaricate, ella si offre all'adorazione.
È da segnalare anche l'uso degli Harappei, di porre
un grande letto nella stanza principale delle case. Era
il letto della padrona di casa, e nella stanza principale,
nel salotto si celebrava l'atto amoroso.
Nelle società matriarcali anche la religione era
un' esperienza viva, in cui l'incontro con il divino non
era legato a un sistema di dogmi e credenze, ma veniva sperimentato
personalmente.
Perciò la religione degli Harappei è strettamente
connessa col corpo, con il piacere e la sessualità.
Nelle religioni delle società patriarcali il divino
è lontano, e diventa quasi irraggiungibile dall'essere
umano: il divino non è vissuto all'interno della
coscienza individuale e perciò nasce l'esigenza di
riempire questo spazio incolmabile tra l'uomo e il divino
con credenze, rituali e intermediari (i sacerdoti) che fanno
da ponte tra la terra e il cielo. Dunque il passaggio da
un'organizzazione matriarcale della società a una
patriarcale, che avvenne sia in India che in Europa, cambiò
notevolmente le concezioni religiose: «Mentre il Tantra
conosce una vasta gamma di rappresentazione del femminile,
nella cultura cristiana il femminile è spezzato:
la donna appare o come puttana, o come madonna, in adorazione
passiva del suo frutto maschile. Nel Tantra, le rappresentazioni
del femminile sono sessuali e spirituali, estatiche e intelligenti,
feroci e pacificanti.
Quale liberazione poter essere spirituali, senza dovere
stare in ginocchio con gli occhi abbassati, pii e casti.
La donna può mostrare acutezza, lucidità o
rabbia e può celebrare il suo essere femmina».
Il Tantra ebbe il suo periodo di maggior fioritura tra il
X e il XII secolo dopo Cristo, nel Nord dell'India, e fu
in seguito soppresso, con il prevalere della religione islamica.
Sopravvisse tuttavia in scuole segrete, specie nel Bengala
e nell' Assam, e qui stabilì rapporti fruttuosi con
la Cina, dove si era formata la seconda grande scuola della
sessualità consapevole, quella taoista. In Tibet,
invece, al riparo dagli influssi di altri popoli, il Tantra
poté esprimersi alla luce del sole, sposandosi
con il buddhismo e il Bon, l'antica religione sciamanica:
«Guru Padmasambhava, un famoso tantrico indiano, viaggiò
nel Tibet nell'vrn secolo dopo Cristo,
e insegnò il Vajrayana (la via del diamante) ai primi
discepoli, fondando la scuola Nyigmapa del buddhismo tibetano.
Nell'undicesimo secolo il traduttore tibetano Marpa viaggiò
in India per studiare il Tantra da Naropa, discepolo di
Tilopa. Tornato in Tibet tradusse e insegnò i principi
tantrici al suo celeberrimo discepolo Milarepa. Da questo
periodo cominciò la larga divulgazione del Tantra
in Tibet. I suoi insegnamenti furono la base della scuola
Kagyiipa del tantrismo tibetano». Ed è proprio
in Tibet che accanto a lama di sesso maschile troviamo donne
sapienti e venerate.
Col passare dei secoli, anche in Tibet alcune scuole - come
la' Gelugpa - iniziarono a prender le distanze dalle pratiche
sessuali del cosiddetto «Tantra rosso» (o Tantra
della mano sinistra) e si limitarono a studiare l'unione
tra il maschile e il femminile sul piano energetico, senza
badare più al contatto fisico: questa versione più
metafisica fu il cosiddetto «Tantra bianco»
(o Tantra della mano destra). Così, «il noto
mantra buddista "Om mani padme hum" viene tradotto
in modo gentile come "il gioiello nel loto", il
che, però, non vuole dire proprio niente. Il pudore
si affanna a trovare qui una spiegazione artificiosa, negando
l'origine tantrica del mantra. Qual è dunque il significato
vero di questo antico mantra? Mani, il gioiello, è
l'equivalente tibetano del termine sanscrito vajra (diamante)
che è l'organo maschile; padme è il fiore
di loto che simboleggia la yoni, la vagina;
perciò "il gioiello nel loto" non significa
nient'altro che l'unione sessuale, il maithuna, in cui il
principio maschile e quello femminile si uniscono sia in
senso carnale, sia in senso mistico».
I secoli successivi furono secoli di decadenza per il Tantra
in India, e soltanto dopo la rivoluzione sessuale negli
anni Settanta e l'emancipazione della donna in Occidente,
si preparò il terreno per la riscoperta dell'unione
del piacere con la spiritualità. Negli ultimi decenni
i lama tibetani hanno portato gli insegnamenti del Tantra
bianco in Europa e America, e alcuni di loro - come Lama
Yesce, Lama Zopa o Chogyam Trungpa Rinpoche hanno fatto
molto per adattare le meditazioni tibetane alla mentalità
occidentale. In India molti ashram si sono aperti agli occidentali,
e maestri come Osho Rajneesh, Paramahansa Satyananda o Yogi
Bhajanhanno hanno dato chiavi di lettura più aggiornate
e comprensibili per gli antichi testi tantrici.
Ma le vecchie tecniche e il nuovo pubblico non si incontrano
facilmente. Molti discepoli del Tantra vengono a trovarsi
in una situazione come quella descritta da Margo Anand,
una delle pioniere del nuovo Tantra rosso: «Il primo
rituale - i canti dei mantra - ci aiuta a concentrarci.
Ci guardiamo negli occhi: non mostrare la mia paura, non
ignorare la sua! Qual è il prossimo passo? Dannazione,
devo sempre interrompere per leggere le istruzioni. Ciò
spezza l'energia. Ah sì, respirare! Inspirare per
sei secondi, trattenere per dodici secondi, espirare per
sei secondi in sincronia con l'altro. Ma lui inspira, mentre
io espiro; sbagliamo tutto. In più questa maledetta
posizione del loto: le braccia incrociate dietro la schiena,
con l'alluce tra il pollice e l'indice, visualizzando una
luce verde tra l'ano e i genitali, che sale pian piano.
Non riesco a vedere nulla. "Che razza di rilassamento!"
esclama il maschio, il cui scettro tantrico non è
disposto ad alzarsi.
Finalmente riusciamo a svegliare l'energia con un respiro
profondo, con qualche trucco e qualche carezza fuori luogo.
Passano venti minuti ma nessun'estasi si fa vedere. Il massimo
è qualche brivido sulla schiena. L'esercizio è
esotico ma non è proprio una rivelazione».
Oggi la sessualità si è liberata e la donna,
grazie all'emancipazione, ha ritrovato il suo spazio; la
situazione sociale non è più quella di duemila
anni fa; ma si presuppone ancora che il sesso appartenga
più al maschio e che soddisfi più il desiderio
maschile che quello femminile. Questo preconcetto è
il retaggio di secolidi repressione patriarcale esercitata
sia sulla sessualità sia sul femminile, e impedisce
a molte donne di pensare che il buon sesso sia un veicolo
per la crescita spirituale, com'era considerato in una cultura
concepita al femminile.
Articolo tratto dal libro "Tantra - La via dell'estasi
sessuale - Elmar e Michaela Zadra"
www.maithuna.i