SENZA VIA DI SCAMPO
Autore Pema Chodron Compralo
su MACROLIBRARSI
Monaca buddhista americana e discepola
di Chögyam Trungpa, Pema Chödrön è abate
di Gampo Abbey, un monastero per occidentali a Cape Breton Island,
in Canada. Questo luogo immerso in una natura selvaggia, in
un silenzio reso più intenso dal rumore del mare e del
vento, crea una situazione ‘senza via di scampo’
che favorisce la meditazione e un contatto più intimo
con se stessi. In questi discorsi, tenuti nell’arco di
un ritiro di un mese, Pema Chödrön ci insegna a risvegliarci
alla realtà usando come insegnante e guida spirituale
le esperienze della vita quotidiana.
RECENSIONE DAL SITO www.centromandala.org
Porta nel cuore la tristezza e il dolore del samsara, e allo
stesso tempo il potere e la visione del grande sole d'Oriente.
In questo modo, il guerriero può preparare il tè
come si deve.
"Senza via di scampo" (traduzione che non rende completamente
giustizia al titolo originale di questo splendido libro, "The
wisdom of no escape") raccoglie gli insegnamenti tenuti
da Pema Chödrön, una monaca americana allieva di Chögyam
Trungpa Rinpoche, nel corso di un ritiro di un mese ( dathun
) che si svolse nella primavera del 1989 nella straordinaria
cornice naturale di Gampo Abbey (isola di Cape Breton, Canada).
È difficile immaginare un
elogio più semplice e intenso di un modo alternativo,
più coraggioso, di guardare alla vita: "Fra tutti
gli esseri umani nati sulla terra, è sempre stato comunemente
accettato l'equivoco in base al quale il modo migliore di
vivere sia cercare di sfuggire il dolore e di condurre un'esistenza
senza problemi. Esiste però un atteggiamento verso
la vita molto più appassionante, gentile, avventuroso
e gioioso, che consiste nell'iniziare a sviluppare la nostra
curiosità, a prescindere dal fatto che l'oggetto dell'indagine
sia gradevole o ripugnante.
Se vogliamo una vita che vada oltre la
meschinità, il pregiudizio e il continuo voler essere
sicuri che tutto proceda secondo i nostri desideri, una vita
più appassionante, piena e gioiosa, dobbiamo renderci
conto che siamo in grado di sopportare grandi gioie e grandi
sofferenze, e che ciò ci offre la possibilità
di scoprire chi siamo e che cos'è il mondo, come tutto
quanto è".
Un insegnamento dopo l'altro, Pema Chödrön
ci offre le diverse chiavi per accedere a questa nuova esistenza,
piena, illimitata e ispirata.
Essere soddisfatti di ciò che si
è e si possiede è la prima chiave. Di fatto,
uno dei più grandi malintesi in cui si rischia di incorrere
quando si comincia a praticare una disciplina spirituale è
di credere che l'obiettivo ultimo sia sbarazzarsi di se stessi
per sostituirsi con qualcosa di meglio - ciò che rappresenta
"una sottile forma di aggressione verso di sé".
Eppure, l'oggetto della pratica meditativa "siete voi,
sono io, chiunque siamo qui e ora, ed esattamente come siamo.
È questo il nostro campo di indagine, che studiamo
e ci prepariamo a conoscere con profonda curiosità
e interesse", aprendoci così a una prospettiva
ben più ampia e gioiosa, ovvero l'esplorazione dell'umanità
intera e dell'universo "sotto forma di noi stessi".
La via che conduce a questa soddisfazione
di sé, a questa pienezza, può essere percorsa
solo coltivando la precisione - vedere chiaramente chi siamo
e cosa stiamo facendo -, la gentilezza - nutrire un buon cuore,
un atteggiamento di benevolenza nei confronti di noi stessi
e dei nostri limiti, contenendo la nostra naturale tendenza
a irrigidirci e a giudicare- e il lasciar andare - riscoprire
la nostra capacità innata di aprirci, di superare la
chiusura mentale, di abbandonare ogni visione limitata e preconcetta.
In questo senso, una situazione "senza via di scampo"
quale può essere un ritiro o, più in generale,
l'imparare a essere onesti e generosi nei confronti di tutto
ciò che accade nella nostra mente, "può
essere una fortuna", perché "ci costringe
a tirare fuori il coraggio che tutti abbiamo nel profondo
del cuore, a impegnarci davvero nel lungo e periglioso viaggio
della ricerca interiore".
La gioia , la capacità di ampliare
la prospettiva , ci offrono ulteriori chiavi per rileggere
la nostra esistenza e superare quel risentimento che ci impedisce
di essere vivi, di vedere, di ascoltare e di entrare in contatto
con ciò che sta dentro e fuori di noi. Coltivando la
gioia, coltiveremo la nostra attitudine a trasformare ogni
gesto in un rito, e la nostra vita in uno spazio sacro. "Ovunque
ci troviamo, quello è il centro del mondo. Siamo sempre
al centro di uno spazio sacro, esattamente al centro del cerchio.
Ovunque andiate, per il resto della vita, sarete sempre al
centro dell'universo, e il cerchio sarà sempre attorno
a voi. Ogni persona che incontrate entra nel vostro spazio
sacro, e non certo per caso. Tutto ciò che entra nel
cerchio è lì per insegnarvi qualcosa. Il nostro
compito nella vita è utilizzare ciò che ci è
stato dato per risvegliarci. Qualunque destino vi sia toccato,
può risvegliarvi o farvi addormentare. È questa
la sfida del momento presente: come intendete sfruttare ciò
che possedete, vale a dire il vostro corpo, la vostra parola,
la vostra mente?"
E ancora, nel coltivare un'esistenza aperta
e coraggiosa, è necessario essere pronti a superare
le proprie opinioni e certezze . Nel Buddhismo esiste un insegnamento
che dice: "Se incontri il Buddha per strada, uccidilo".
Al di là dell'apparente violenza di queste parole,
l'essenza dell'insegnamento è un invito a riconoscere
la tendenza ad aggrapparci alle nostre credenze, e così
alimentare un atteggiamento di chiusura mentale che inevitabilmente
pone le premesse del conflitto. Per contro, la capacità
di osservare in maniera onesta e profonda le proprie convinzioni
"è un occasione per accorgervi che vi state attaccando
alla vostra interpretazione della realtà e per riflettere
sul fatto che si tratta esattamente di questo: della vostra
interpretazione della realtà, niente di più
e niente di meno".
Tra le altre cose, questo significa accettare
che non esiste "la" via di mezzo , ma che trovarla
è un processo nuovo e diverso per ogni essere umano:
"nessun altro può realmente decidere per voi cosa
accettare e cosa rifiutare, se parliamo di ciò che
vi porta o di ciò che vi allontana dal risveglio".
Allo stesso modo, non esistono un inferno e un paradiso, "se
non per il modo in cui ci mettiamo in rapporto con la vita;
l'inferno non è altro che la nostra resistenza alla
vita".
Di fatto, quando si parla di rinuncia (un'altra
fondamentale chiave di accesso al sentiero della ricerca interiore),
si intende proprio questo: rinunciare a chiudersi, a separare
se stessi dalla vita, "prendere coscienza che il voler
rimanere in un mondo protetto, chiuso e meschino è
una forma di follia". Solo cominciando a intuire la vastità
della vita che ci circonda e la nostra possibilità
di viverla fino in fondo, avventurosamente, senza pregiudizi,
cominceremo davvero a comprendere cosa sia la rinuncia. Come
? Avendo il coraggio di scoprire il nostro limite, ancora
e ancora; di cominciare a chiederci: "Perché sono
così terrorizzato? Cos'è che non voglio vedere?
Perché non riesco ad andare più avanti?".
La meditazione serve anche e soprattutto a questo: essere
svegli ai nostri limiti e, nel momento stesso in cui li riconosciamo,
accogliere ciò che hanno da insegnarci, piuttosto che
deprimerci per aver sbagliato.
Prendere rifugio è un altro modo
di descrivere questa apertura alla vita: nel momento in cui
prendiamo profondo e sincero rifugio nel Buddha, negli insegnamenti
e nella comunità spirituale, recidiamo il cordone ombelicale
dei nostri legami, delle nostre certezze, della nostra dipendenza
dall'approvazione degli altri; "abbandoniamo la casa",
smontiamo pezzo per pezzo l'"armatura" che ci impedisce
di risvegliarci, e intraprendiamo da soli "il cammino
dell'essere pienamente umani".
E infine, il coraggio consiste nell'imparare
a invitare il dolore , nostro e altrui; nell'essere disposti
a riconoscere la sofferenza della condizione umana; nel coltivare
bodhicitta , ovvero un cuore risvegliato e impavido. Ma anche
nel voler condividere il piacere, la gioia, la felicità
, nel riconoscere la spaziosità che è l'altra
faccia della nostra esistenza,. Questo e non altro significa
l'espressione non preferire né il samsara né
il nirvana : "se riusciamo a vivere portando con noi
la tristezza della condizione umana, se siamo disposti a sperimentare
fino in fondo e a riconoscere sempre la nostra tristezza e
la tristezza della vita, ma, nel contempo, non ne veniamo
sopraffatti perché abbiamo anche ben presenti la visione
e il potere del grande sole d'Oriente, allora sperimentiamo
l'equilibrio e la completezza, l'unione del cielo e della
terra, della visione e della vita pratica. Possiamo ritrovare
il contatto con il 'clima' che abbiamo in noi, e magari accorgerci
che è un clima triste. Più è triste più
è spazioso, e più è spazioso più
il cuore si apre. Possiamo smetterla di credere che quando
il tempo è bello e luminoso vuol dire che stiamo praticando
bene, e quando il tempo è brutto e scuro significa
che la nostra pratica non funziona. Se sapremo portare tutto
ciò nel cuore, potremo preparare il tè come
si deve".
(Simona Bodo)
- dal sito http://www.centromandala.org/page/buddhismo/recensioni/04.shtml |