Conversazione tra Andrew Cohen
e Eckhart Tolle (PRIMA PARTE)
Che significa “essere
nel mondo” ma non “del mondo”?
3ème Millénarie n. 65 – Traduzione della
Dr.ssa Luciana Scalabrini, prima parte
A.C.: Cosa volete dire esattamente con
: il significato del mondo è nella sua trascendenza?
E.T.: Il mondo promette la realizzazione da qualche parte
nel tempo. Molte persone si dicono: “ecco, ci sono
arrivato” e poi realizzano che in effetti, no, non
sono arrivati, e lo sforzo continua. Questo si esprime giusto
in una corsa a ostacoli, dove si dice che la massima dell’ego
è: “cercare ma non trovare”. Le persone
contano di trovare la salvezza nel futuro, ma il futuro
non arriva mai.
E, in fin dei conti, a forza di non trovare, si genera una
sofferenza. Questo è l’inizio di un risveglio,
quando c’è una presa di coscienza che “forse
questa non è la via, non arriverò forse dove
mi sforzo di andare, forse questo non è affatto nel
tempo”. Dopo essere stato perso in questo mondo, improvvisamente,
attraverso la sofferenza, si prende coscienza che le risposte
non possono essere trovate fuori, in una realizzazione materiale,
né nel tempo. E’ un traguardo importante da
raggiungere per molte persone. Questo provoca un senso di
crisi profonda: quando il mondo come lo conosco e il senso
di sé che ho conosciuto, identificato nel mondo,
non hanno più senso.
Mi è successo. Ero molto vicino
al suicidio quando è successo qualcosa di nuovo:
la morte del senso di sé, che vive attraverso l’identificazione
alla mia storia, alle cose attorno a me, al mondo. La percezione
intensa di uno stato di calma profonda, d’essere in
vita, di essere, a quel momento è sopraggiunto. Più
tardi l’ho chiamata “Presenza”. Ho realizzato
che, al di là delle parole, Quello è chi io
sono.
Degli anni più tardi, ho chiamato
questo stato di calma “pura coscienza” e tutto
il resto “coscienza condizionata”; anche gli
oggetti lo sono. La coscienza condizionata è nata
in quanto forma ed è da allora diventata il mondo.
Così l’essere perso nel condizionato sembra
necessario all’essere umano. Sembra che essere perso
nel mondo, assorbito dalla mente che è la coscienza
condizionata, faccia parte del suo cammino. E, grazie alla
sofferenza patita quando siamo perduti, si scopre che l’incondizionato
è noi stessi.
Ecco perché abbiamo bisogno del
mondo per trascendere il mondo. Sono infinitamente riconoscente
d’essere stato perduto. Il significato del mondo è
per voi, alla fine dei conti, di perdervici. Il significato
è per voi di soffrire, creare la sofferenza sembra
necessario perché nasca il risveglio. E una volta
che sorge il risveglio, viene con lui la presa di coscienza
che la sofferenza non è più necessaria. Arrivate
alla fine della sofferenza perché avete trasceso
il mondo.
E’ uno stato libero dalla sofferenza.
Questo sembra essere il cammino di ognuno. Forse non quello
di tutti in questa vita, ma sembra essere universale. Anche
senza un insegnante o un insegnamento spirituale, credo
che ciascuno dovrà alla fine passare per di là.
Ma per questo può volerci del tempo
A.C.: Molto tempo.
E.T.: Molto più tempo. Un insegnamento spirituale
serve a risparmiare tempo. Il messaggio fondamentale di
un tale insegnamento è che non avete bisogno di più
tempo, non avete bisogno di più sofferenza. Alla
gente che viene da me dico: “siete pronti a capirlo
perché lo ascoltate. Ci sono milioni di persone fuori
di qui che non lo intendono. Hanno ancora bisogno di tempo.
Ma non mi rivolgo a loro. Voi capite che non avete più
bisogno di tempo né di sofferenza.
Avete cercato nel tempo nuove sofferenze” E all’improvviso
sentire “non avete più bisogno di questo”
può essere per alcun il momento della trasformazione.
La bellezza dell’insegnamento spirituale è
perciò che libera da certe vie di…
A.C.: Una sofferenza inutile.
E.T.: Si. E’ dunque bene che la gente sia persa nel
mondo. Mi piace andare a New York o a Los Angeles dove la
gente sembra totalmente assorbita. Guardavo da una finestra
a New York. Eravamo in un gruppo vicino allo Empire State
Building. Nella strada la gente si agitava in tutta le direzioni,
quasi correndo. Ognuna sembrava in uno stato di tensione
nervosa, di ansia. Questa è sofferenza, reale, ma
non è riconosciuta tale. Mi sono domandato, ma dove
corrono così? E, in effetti, correvamo tutti verso
il futuro. Hanno bisogno, di andare verso un posto, che
non è qui. E’ una corsa nel tempo: non ora,
più tardi. Corrono verso un “più tardi”.
Soprattutto, ma non lo sanno nemmeno. Ma a me, anche solo
guardare questo spettacolo, procura gioia. Non mi dicevo:”
“bisogna che lo sappiamo”. Loro seguono il loro
cammino spirituale. Per adesso questo è il loro cammino
spirituale, e va meravigliosamente bene.
Il termine “risveglio” è spesso interpretato
come la fine della divisione del Sé e la simultanea
scoperta di una prospettiva e di un modo di vivere che è
totale, completo e libero dalla dualità. Quelli che
hanno intravisto questa prospettiva affermano che la realizzazione
ultima è tale che non c’è differenza
tra il mondo e Dio o l’Assoluto, fra il samsra e il
nirvana, tra il manifesto e il non-manifesto. Ma altri dicono
che in effetti il mondo non esiste più del tutto,
che in effetti il mondo non è che un’illusione,
completamente privo di senso, di significato o di realtà.
Secondo la nostra esperienza, il mondo è reale? E’
irreale? O tutt’è due insieme? Anche quando
mi interesso alle persone o cammino per strada, facendo
cose ordinarie, sento il mondo come delle onde sulla superficie
dell’ Essere. Dietro il mondo delle percezioni sensoriali
e il mondo dell’attività mentale si trova l’immensità
dell’Essere. C’è un immenso spazio, un
immenso stato di calma e la piccola attività delle
onde alla superficie non è separata, così
come le onde non sono separate dall’oceano. Perciò
non c’è separazione nel modo in cui percepisco.
Non c’è separazione tra l’Essere e il
mondo manifestato, tra il manifesto e il non-manifesto.
Ma il non-manifesto è molto più vasto, più
profondo e più grande che ciò che si produce
nel mondo manifesto. Ogni fenomeno del mondo manifesto ha
una durata di vita così corta ed effimera che si
potrebbe quasi dire che, dal punto di vista del non-manifesto,
che è fuori dal tempo o Presenza, tutto ciò
che si svolge somiglia davvero a uno spettacolo di ombre
cinesi.
Come il vapore e la nebbia appaiono sotto nuove forme e
spariscono, appaiono di nuovo e poi scompaiono. Per chi
dunque è profondamente radicato nel non-manifesto,
il manifesto può essere facilmente definito l’irreale.
Non lo definisco irreale perché non lo vedo separato
dal resto.
A.C.: Dunque è reale?
E.T.: Tutto ciò che è reale è lo stesso
essere. La coscienza è tutto ciò che è,
la pura coscienza.
A.C.: Volete dire che la definizione del “reale”
è ciò che è libero dalla nascita e
dalla morte?
E.T.: Giusto.
A.C.: Allora chi non è mai nato e non può
morire è reale. E, siccome il mondo manifesto non
è, in definitiva, separato dal non separato, secondo
voi, si dovrebbe dire che è reale.
E.T.: Si, e anche in ogni forma soggetta alla nascita e
alla morte, si trova l’immortale. L’essenza
di ogni forma è l’immortalità Anche
l’essenza di un filo d’erba è l’immortalità
Per questo il mondo della forma è sacro... Il campo
del sacro non è esclusivamente l’Essere o il
non-manifesto. Considero il mondo della forma come sacro.
A.C.: Se qualcuno vi domandasse semplicemente: “ il
mondo è reale o irreale?” direste che è
reale o dovreste dare una risposta sfumata.
E.T.: Probabilmente darei una risposta sfumata.
A.C.: Dicendo cosa?
E.T.: E’ una manifestazione temporanea del reale.
A.C.: Allora se il mondo è una manifestazione temporanea
del reale, cosa è una relazione risvegliata del mondo?
E.T.: Per il non-risvegliato il mondo è tutto ciò
che esiste. Non c’è nient’altro. Questo
modo di coscienza limitato nel tempo si attacca al passato
per la sua identità e ha disperatamente bisogno del
mondo per la sua felicità e la sua realizzazione.
Pertanto, il mondo porta un’immensa promessa, ma fa
pesare, al tempo steso una grossa minaccia. E’ il
dilemma della coscienza non-illuminata: è divisa
tra cercare la realizzazione nel e attraverso il mondo e
essere continuamente sotto la sua minaccia.
Una persona spera che si ritroverà nel mondo, ma
al tempo stesso teme che il mondo lo uccida, secondo la
sua volontà. E’ lo stato di continuo conflitto
al quale è condannata la coscienza non-risvegliata,
essere continuamente tra il desiderio e la paura. E’
terribile. La coscienza risvegliata è radicata nel
non-manifesto ed è Uno con questo. Sa di essere questo.
Si potrebbe quasi dire che è lo sguardo del non-manifesto.
Anche con una cosa semplice come percepire visivamente una
forma, come un fiore o un albero, se la percepisce in uno
stato di grande attenzione e di calma interiore, libera
dal passato e dal futuro, allora in quell’istante
il non-manifesto è già presene. In quell’istante
non siete più una persona. Il non-manifesto si percepisce
da solo in una forma. E, in questa percezione, si trova
sempre un senso di bontà. Ogni azione che viene in
seguito a questo possiede una qualità completamente
differente dall’azione che proviene dalla coscienza
non-risvegliata, che ha bisogno di qualcosa e cerca di proteggersi.
E’ realmente là dove si trovano queste qualità
preziose e intangibili che chiamiamo amore, gioia e pace.
Sono Uno con il non-manifesto, emergono da Quello. Un essere
umano che è attaccato a questo e agisce e interagisce
di conseguenza, diventa una benedizione per il pianeta,
mentre l’uomo non-risvegliato è molto pesante
per il pianeta. C’è una pesantezza associata
al non-risvegliato. Il pianeta soffre di milioni di uomini
non-risvegliati. Il fardello del pianeta è troppo
pesante. A volte, posso sentirlo dire: “Oh, basta,
per favore”.
A.C.: Voi incoraggiate le persone a meditare fin che è
possibile su, come lo descrivete “riposare nella Presenza
dell’Adesso”. Pensate che questa pratica spirituale
possa sempre essere veramente interiorizzata e avere il
potere di liberare se non si è già rinunciato
al mondo e a ciò che rappresenta, almeno a un certo
livello?
E.T.: Non direi che la pratica ha da sola il potere di liberare.
E’ solo quando c’è un abbandono completo
all’adesso, a ciò che è, che la liberazione
è possibile. Non penso che una pratica vi porterà
a un abbandono completo. Questa si attua abitualmente nel
seno stesso della vita. Questa succede a voi nella vostra
vita. Può succedere un abbandono parziale, poi un’apertura,
e poi potete impegnarvi in una pratica spirituale. A meno
che la pratica non sia giunta ad un certo livello di profondità,
non potrà generare questo abbandono.
A.C.: Ho trovato nel mio insegnamento qualcosa che funziona:
a meno che il mondo non sia stato visto attraverso una certa
angolazione, e a meno che non ci sia una volontà
basata sulla ricerca di lasciar-andar il mondo, qualunque
sia l’intensità di una esperienza spirituale,
non porterà ad alcun tipo di liberazione.
E.T.: E’ vero, e la volontà di lasciar-andare
è l’abbandono. Ne è la chiave. Senza
tale volontà non lo faranno la intensificazioni della
pratica e nemmeno le sperimentazioni spirituali accumulate.
A.C.: Si, molte persone dicono che vogliono meditare o seguire
una pratica spirituale, ma le loro aspirazioni non si basano
sulla volontà di lasciar andare qualcosa di importante.
E.T.: No, infatti, sarebbe piuttosto il contrario: la pratica
spirituale può essere un pretesto per provare a trovare
qualcosa di nuovo con cui identificarsi.
A.C.: In definitiva, direste che si suppone che una pratica
o un’esperienza spirituale reale ci porti al lasciar
andare il mondo, alla sua trascendenza, alla rinuncia all’attaccamento
al mondo?
E.T.: Si, le persone domandano a volte: “Come arrivate
a questo? Sembra meraviglioso, ma come ci arrivate?”
Concretamente, questo, significa dire semplicemente “si”
nell’istante. E’ lo stato d’abbandono,
un “si” totale a ciò che è. E
non il “no” interno a ciò che è.
Un “si” completo a ciò che è,
è trascendere il mondo. E’ così semplice
che questo, un’apertura totale a ciò che sorge
nell’istante. Lo stato solito della coscienza è
di resistervi, di fuggirlo, di negarlo, di non guardarlo.
A.C.: Dunque quando dite “si” a ciò che
è, volete dire di non evitare le cose, ma di affrontarle?
E.T.: Esattamente. E’ accogliere questo istante, abbracciarlo,
ed è uno stato d’abbandono. E’ realmente
tutto ciò che è necessario. La sola differenza
tra un Maestro e il suo allievo è che il Maestro
abbraccia totalmente ciò che è. La porta è
aperta; il non-manifesto è là. E’ la
via più efficace. Non possiamo considerarla come
una pratica, perché non si situa nel tempo.
Articolo su gentile concessione del sito http://www.sviluppocoscienza.it/
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